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Vita dura per i figli maggiorenni che non studiano e non lavorano. E il giro di vite della Cassazione, questa volta, non è solo nei confronti di quei ragazzi che non portano avanti gli studi con impegno e con risultati, oppure non si attivano nella ricerca di un lavoro.

Se, infatti, già nel luglio di quest’anno la Suprema Corte aveva chiarito come i figli debbano essere pronti anche a ridimensionare le proprie aspirazioni in relazione a quelle che sono le reali opportunità che offre il mercato del lavoro, senza temporeggiare nell’attesa di un’occupazione lavorativa consona alle proprie ambizioni, oggi gli Ermellini sembrano voler spronare ulteriormente i giovani a rendersi indipendenti dalle proprie famiglie.

E invero, con l’ordinanza n. 32406 resa l’8 novembre 2021, la Corte romana appare ferma nel cercare di mitigare l’obbligo dei genitori di mantenere i propri figli fino a quando non trovino un lavoro stabile e in linea con la propria formazione scolastica, dando invece maggiore vigore al principio di autoresponsabilità.

In ossequio a tale principio, la Corte ha affermato come il figlio ormai trentaduenne che, da tempo, abbia smesso di studiare, senza però riuscire ad inserirsi nel mondo lavorativo in maniera stabile, perda comunque il diritto ad essere mantenuto dai propri genitori, indipendentemente dal fatto che non sia ancora riuscito a raggiungere l’indipendenza economica.

Ciò, in quanto il richiamato principio della autoresponsabilità impone al figlio di non abusare del diritto ad essere mantenuto dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura.

Infatti, secondo la Cassazione, l’obbligo dei genitori al mantenimento dei propri figli può trovare una valida giustificazione solamente nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione.

Un principio certamente in linea anche con quanto avviene al di là delle Alpi e che impone ai nostri ragazzi, superati i trent’anni ed in assenza di ragioni oggettive di impedimento, di cominciare a camminare con le proprie gambe, misurandosi con un orizzonte occupazionale reso ancora più incerto dall’avvento della pandemia e dalla conseguente crisi economica.

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